Human Resources

Joinrs con Antonio, Head of Human Resources in Boehringer Ingelheim

Scritto da Il team di Joinrs | 16/10/2024

  Chi è Joinrs?  

Joinrs è la job board potenziata dall'intelligenza artificiale, progettata per connettere candidati GenZ -studenti universitari e laureati con pochi anni di esperienza lavorativa- con le aziende più compatibili. Grazie alla nostra AI, supportiamo sia i job seeker che i recruiter nell'identificare le migliori opportunità, rendendo il processo di selezione più rapido ed efficiente e riducendo lo sforzo richiesto. Solo le candidature più allineate ai requisiti arrivano ai recruiter, garantendo qualità e precisione.

Oggi, più di 300 aziende ci hanno scelto per potenziare la loro talent attraction, beneficiando anche delle nostre attività mirate all'employer branding, il tutto all'interno della nostra community di quasi 1 milione di utenti. Se sei un’azienda e vuoi saperne di più, clicca qui.

 

  Raccontando il mondo HR  

Per conoscere il mondo Risorse Umane. Per chiacchierare e rubare qualche segreto del mestiere a professionisti che hanno da raccontare. Per lasciarvi ispirare. La raccolta di interviste di Joinrs a chi lavora in ambito HR nasce con questi tre obiettivi: ci auguriamo che nelle loro storie possiate trovare i consigli che cercate e la determinazione per iniziare (o proseguire) nella costruzione dei vostri più obiettivi professionali. Oggi è Antonio a condividerci il suo percorso e consigli!

 

1) Hai studiato Economia aziendale alla Bocconi, quanto ritieni che la tua formazione abbia influito sul tuo modo di gestire le risorse umane e in che modo ti ha aiutato a sviluppare competenze chiave come il change management e l'organizational development?

Economia e management in Bocconi mi hanno dato una forma mentis, un approccio, una base che mi ha segnato per tutta la professione. Ho cominciato in HR non con un taglio da avvocato né da psicologo, ma da aziendalista. Ho sempre guardato alle persone e ai processi organizzativi come fattori chiave per il successo dell’idea imprenditoriale, la business idea. Spesso chi si occupa di persone, di Human Resources, ha un taglio giuridico, considera il diritto del lavoro che regola il contratto con cui le persone sono impiegate. Oppure ha un taglio psicologico e sociale, si occupa degli aspetti psicologici della esperienza di lavoro. Con Bocconi ho sempre avuto un approccio meno parziale, più imprenditoriale, economico e di sistema. Fare attenzione a tutti gli aspetti perché siamo tutti al lavoro per raggiungere gli obiettivi che come azienda ci si è dati. 

Non solo, la preparazione economica mi ha aiutato a capire da subito la lingua, i problemi dei colleghi, dei capi, delle persone di cui come HR mi dovevo occupare. Bocconi è sempre stata avanti: change management e sviluppo organizzativo erano temi già al centro del mio piano di studi. Ho cominciato a lavorare sapendo cosa vuol dire il cambiamento in una organizzazione complessa. Anche questo mi ha aiutato: sapevo dialogare con i consulenti e con chi era più senior di me: capivo e potevo proporre con cognizione di causa. Avevo un linguaggio ed un modo di ragionare che hanno sempre accelerato il mio inserimento ogni contesto di lavoro.

 

2) Durante la tua carriera, hai ricoperto ruoli HR in vari contesti internazionali. Quali sono state le maggiori sfide che hai affrontato nel gestire team e progetti a livello globale?

Direi due sfide: capire gli altri ed essere me stesso.

La prima sfida è stata mettermi davvero nei panni di chi aveva culture, esperienze ed aspettative diverse dalla mia. Ero consapevole a parole delle diversità. Poi nella pratica me lo dimenticavo e senza accorgermi applicavo i miei schemi, le mie idee preconcette. Questo mi faceva fare più fatica: spiegazioni e incomprensioni, lungaggini e in fondo scarsa soddisfazione per quello che si fa e per il lavoro in team. Ho imparato ad accettare tempi, approccio, stili diversi dal mio. Dare tempo e fiducia anche a chi sembra comportarsi in modo diverso da te. Ci si completa e si costruisce un team mettendo assieme il valore delle diversità e alla fine fa sentire tutti a casa

La seconda è stata mantenere la mia diversità, anzi saperla utilizzare al meglio. Non cedere alla tentazione che per essere di successo dovevo diventare quello che non ero. Io ero italiano ed esportavo la mia identità. Ho imparato a farlo con equilibrio, con consapevolezza. Saper usare la mia cultura, personalità italiana quando serviva. Per questo è stato importante capire meglio i miei punti di forza e di debolezza. Conoscermi, accettarmi e sapermi dosare.

In sintesi: la sfida è trovare il giusto equilibrio. Capire gli altri, abbracciare la diversità, sapendo bene da dove si viene, cosa si porta. Cosa dare e cosa accogliere

 

3) Il coaching e il mentoring sono due aspetti di cui ti occupi, quanto ritieni siano importanti all'interno di un'organizzazione?

Sono due strumenti oggi molto importanti. Sono diversi e non vanno confusi. Il mentoring è uno scambio di saperi e di conoscenze, di consigli tra una persona più senior, il mentor, appunto ed una persona più junior. Il coaching è un dialogo guidato dalle domande del coach e soprattutto dalle risposte, dalle riflessioni, che il coachee intraprende perché stimolato dal coach.  Entrambi hanno in comune l’avere alla base momenti di scambio e di incontro tra due persone. Finalità e metodi diversi, accumunati dal fatto di essere incontri tra persone. Viviamo un mondo sempre più veloce, sempre più connesso, dove i processi, gli algoritmi ci aiutano, ci guidano, ma che paradossalmente possono renderci più soli e fragili. Incontrare il collega, il coach, il mentor in un dialogo serrato e confidenziale ci dà forza, ci sostiene. Non si cresce da soli, abbiamo bisogno di un'altra persona che si accorga di noi e che stia con noi per un pezzo di strada. Mentoring e Coaching superano le gerarchie, ci fanno abbassare le nostre difese, ci fanno aprire agli altri. Ci si mette in gioco e si chiede aiuto. Io ho imparato di più dal dialogo strutturato e serrato con alcuni colleghi e “maestri”, che da tanti seminari, corsi, letture.

 

4) Guardando al futuro, quali sono le competenze chiave che ritieni saranno più richieste nel mondo HR?

Vedo due grandi aree di competenze già per l’oggi e per il futuro di HR: sapere di numeri e sapere di persone. Due cose che ci portano al cuore di questo mestiere. 

I numeri. Tutto quello che oggi è chiamato People Analytics o Data insight, passando per l’Intelligenza Artificiale. In sintesi, saper leggere i dati, saperli trattare, saper usare gli strumenti analitici per fare sintesi e trarre informazioni. Non è più possibile occuparsi di HR senza avere una base di numeri che giustifichi le scelte, gestire i progetti, i processi. Un tempo in HR si era molto più sul qualitativo. Oggi bisogna essere “fact based” su tutto.

Le persone. Conoscere i collaboratori, avere una opinione sulle persone e saperla dare sempre con competenza ai manager, ai capi delle persone. Non solo, bisogna stare con le persone, saper parlare con loro, saper essere mentor, coach, compagni di strada. Per fare questo è necessario avere qualche competenza di psicologia e sociologia. Un tempo HR curava molto i processi, oggi bisogna andarci dentro stare con le persone e sapere delle persone.

Il nostro mestiere sta cambiando. Fare HR diventerà sempre più accompagnare i manager e le persone nel prendere le decisioni giuste sulle persone. Per fare questo noi HR dobbiamo essere padroni dei dati, delle informazioni. Questa è la condizione necessaria, ma ciò che fa la differenza è la nostra aggiunta di relazione, di conoscenza personale. Avere sempre una opinione.

 

Intervista a cura del team di Joinrs