Joinrs è la job board potenziata dall'intelligenza artificiale, progettata per connettere candidati GenZ -studenti universitari e laureati con pochi anni di esperienza lavorativa- con le aziende più compatibili. Grazie alla nostra AI, supportiamo sia i job seeker che i recruiter nell'identificare le migliori opportunità, rendendo il processo di selezione più rapido ed efficiente e riducendo lo sforzo richiesto. Solo le candidature più allineate ai requisiti arrivano ai recruiter, garantendo qualità e precisione.
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Per conoscere il mondo Risorse Umane. Per chiacchierare e rubare qualche segreto del mestiere a professionisti che hanno da raccontare. Per lasciarvi ispirare. La raccolta di interviste di Joinrs a chi lavora in ambito HR nasce con questi tre obiettivi: ci auguriamo che nelle loro storie possiate trovare i consigli che cercate e la determinazione per iniziare (o proseguire) nella costruzione dei vostri obiettivi professionali. Oggi è Marta a condividerci il suo percorso e consigli!
Dopo la laurea in Lettere e Filosofia, con indirizzo in Scienze dei Beni Culturali, il mio percorso sembrava naturalmente orientato verso il mondo dell’arte, che da sempre mi affascina per la sua capacità di raccontare la bellezza e l’ingegno umano. Allo stesso tempo, però, ho sempre coltivato un lato molto razionale, concreto, con una spiccata attitudine verso i numeri e l’analisi. In me convivono quindi due dimensioni apparentemente opposte: la sensibilità verso l’espressione artistica e l’esigenza di concretezza e pragmatismo.
L’incontro con il mondo delle Risorse Umane non è stato frutto di un progetto studiato a tavolino. Anzi, inizialmente non ne avevo una reale conoscenza né consapevolezza. È stato quasi un incontro fortuito, una possibilità che mi si è presentata lungo il cammino. Ma, passo dopo passo, quella che era una scoperta casuale si è trasformata in una scelta consapevole e convinta.
Ciò che mi ha trattenuta e mi ha fatto appassionare è stata la scoperta che lavorare nelle Risorse Umane significa operare direttamente con e per le persone. Significa avere l’opportunità di contribuire a creare contesti in cui i talenti possano esprimersi, crescere, e allo stesso tempo generare valore concreto per l’organizzazione. Perché, alla fine, un’azienda non è altro che le persone che la abitano ogni giorno: il loro entusiasmo, le loro competenze, la loro capacità di fare squadra. Ed è proprio questo intreccio tra dimensione umana e risultati tangibili che mi ha convinta a rimanere.
Oggi in Sperlari ricopro il doppio ruolo di People Development Head e HR Business Partner, due funzioni che si intrecciano ma che hanno focus differenti. Come People Development Head mi occupo di definire e rendere concrete le strategie che permettono ai nostri dipendenti di vivere un’esperienza di valore. Questo significa lavorare su molteplici fronti: dalla comunicazione interna, che alimenta senso di appartenenza e trasparenza, all’employer branding, che rafforza la nostra identità sul mercato del lavoro; dalla selezione dei talenti allo sviluppo e alla formazione continua; fino alle iniziative di benessere, indispensabili per favorire un ambiente in cui le persone possano dare il meglio di sé.
Parallelamente, come HR Business Partner, il mio ruolo è quello di costruire relazioni solide ed efficaci con il management, fungendo da ponte tra la gestione delle persone e gli obiettivi di business. Credo profondamente che non ci possa essere un successo aziendale duraturo senza un reale allineamento tra strategia, cultura e valorizzazione delle risorse.
Sperlari è un’azienda italiana con radici forti, un marchio che porta con sé una tradizione importante e un orgoglio che risiede prima di tutto nelle persone che la compongono. La sfida principale, oggi, è mantenere alti livelli di motivazione, ingaggio e tensione positiva verso la performance in una realtà che ha una popolazione stabile, ma che si trova anche a dover integrare diverse generazioni con aspettative e linguaggi differenti. È una sfida complessa, ma al tempo stesso straordinariamente stimolante, perché ci spinge a innovare senza perdere il legame con la nostra identità più autentica.
Negli ultimi anni ho visto cambiare sensibilmente il modo in cui le aziende italiane affrontano il tema del Talent Development. Se un tempo la crescita interna era percepita come un percorso lineare, scandito da ruoli e passaggi di carriera ben definiti, oggi le strategie stanno evolvendo verso modelli più dinamici e personalizzati. Da un lato, le persone non cercano più soltanto una “posizione”, ma desiderano un’esperienza di sviluppo continua, che tenga conto delle loro aspirazioni, dei loro valori e del loro potenziale: del loro essere persone e non semplicemente ruoli.
Dall’altro, le aziende – e noi HR in primis – stiamo cambiando il nostro approccio (o dovremmo farlo molto rapidamente). In passato abbiamo spesso proposto pacchetti preconfezionati, convinti fosse la strada migliore: coaching, training o altre iniziative calate dall’alto, senza coinvolgere realmente la persona, che invece è il primo portavoce del proprio bisogno e spesso sa meglio di chiunque altro cosa può aiutarla a crescere.
Oggi il vero cambio di paradigma è proprio questo: passare da un modello in cui l’azienda dice “ti dico io di cosa hai bisogno” a uno in cui afferma “dimmi tu di cosa hai bisogno” o, ancora meglio, “cerchiamo insieme ciò che è più giusto per te”.
Oggi le organizzazioni sono chiamate a cambiare sguardo: non basta più offrire corsi di formazione, ma serve coltivare veri ecosistemi di apprendimento, dove competenze tecniche, soft skills e capacità di adattamento si intrecciano per generare crescita continua.
Ma costruire questi ecosistemi non significa semplicemente introdurre piattaforme digitali per il self-learning, sperimentare la formazione on the job o attivare progetti di mentoring e job rotation. Significa, piuttosto, ascoltare e comprendere le persone, leggere i loro bisogni, i loro ritmi e le loro motivazioni.
Solo così è possibile scegliere quando e come attivare gli strumenti giusti, creando esperienze di apprendimento autentiche, capaci di ispirare, connettere e trasformare davvero.
In questo contesto, il ruolo delle Risorse Umane è quello di mettere a disposizione stimoli, strumenti e opportunità. Credo che il vero punto di svolta sia passare da un modello top-down a un modello più partecipativo e inclusivo, dove ogni dipendente si sente protagonista del proprio percorso.
Per le aziende italiane, spesso fortemente legate alla tradizione, questa trasformazione rappresenta una sfida importante, ma anche una grande opportunità: quella di trattenere e motivare i talenti attraverso percorsi di sviluppo su misura, capaci di unire radici solide e sguardo proiettato al futuro.
A mio avviso, i trend più interessanti per il futuro dell’HR non riguardano solo cosa facciamo, ma come immaginiamo il lavoro e le persone.
Il primo grande cambiamento è la trasformazione dell’employee experience in una vera “human experience”: le persone non cercano soltanto benessere o sviluppo, ma senso, connessione e autenticità. Le aziende che sapranno costruire contesti capaci di far emergere l’unicità di ciascuno — attraverso ascolto reale, autonomia e spazi di crescita — saranno quelle che attrarranno e tratterranno i talenti migliori.
Un secondo trend, spesso sottovalutato, è la convivenza intergenerazionale come laboratorio di innovazione. Non si tratta solo di gestire differenze, ma di valorizzarle come fonti di apprendimento reciproco e creatività. Il futuro non è “inclusivo” solo per valori, ma per intelligenza collettiva.
La tecnologia, poi, non è più un supporto ma un moltiplicatore: l’AI e l’HR analytics stanno ridisegnando i confini stessi del ruolo HR.
L’innovazione più interessante non sarà tanto l’automazione dei processi, quanto la capacità di usare i dati per personalizzare esperienze, prevedere bisogni e liberare tempo per ciò che più conta: la relazione umana.
Infine, vedo crescere un trend che sarà determinante: la sostenibilità umana e sociale. Le persone chiedono alle aziende non solo performance, ma scopo, etica e impatto positivo. Il purpose non è più uno slogan, ma la nuova valuta della fiducia.
Intervista a cura del Team di Joinrs