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Per conoscere il mondo Risorse Umane. Per chiacchierare e rubare qualche segreto del mestiere a professionisti che hanno da raccontare. Per lasciarvi ispirare. La raccolta di interviste di Joinrs a chi lavora in ambito HR nasce con questi tre obiettivi: ci auguriamo che nelle loro storie possiate trovare i consigli che cercate e la determinazione per iniziare (o proseguire) nella costruzione dei vostri obiettivi professionali. Oggi è Michele a condividerci il suo percorso e consigli!
Partirei da cosa si intende, a livello personale, per “sfida”; la storia di ciascuno di noi individua come “sfide” elementi che rappresentano ed hanno il sapore di provare qualcosa di diverso, raggiungere una vetta per soddisfare la propria ambizione, seguire il sentiero di un sogno, raggiungere un obiettivo che ci si era posti anni addietro o semplicemente mantenere una promessa fatta a sé stessi.
Nel mio caso, i passaggi più sfidanti che ricordo con particolare enfasi sono quelli che hanno segnato un “non ritorno” nella mia vita personale; sono dunque quelli che hanno rivoluzionato l’esistenza: lasciare l’Italia per vivere e lavorare all’estero, prima in UK e poi in Polonia. Il rientro in Italia – programmato – ha chiuso un primo cerchio, rendendo maturo un primo strato di competenze e fertile un secondo strato pronto a nuove esperienze.
Un altro passaggio è stato invece lasciare Torino per approdare a Milano.
Dal punto di vista professionale i percorsi sfidanti sono iniziati con le prime responsabilità aventi un perimetro internazionale: ciò significa interfacciarsi con culture e metodi di lavoro diversi, nonché approcci personali a cui non siamo abituati. Un’altra sfida è stata quella di imparare a gestire un team di collaboratrici e collaboratori, che rappresenta un nuovo punto di partenza per un professionista: sviluppare l’empatia, coltivare l’autorevolezza e nutrire l’autostima delle proprie risorse (e non solo di esse) sono diventati – ancora oggi – esercizi quotidiani indispensabili.
La mia evoluzione è quindi transitata attraverso steps di sfide crescenti, sia professionali che personali; l’aver avuto comunque sempre chiaro l’obiettivo di cosa volessi sperimentare in ambito HR è stato il propellente per affrontare e superare le sfide, non temere e non evitare i rischi, arricchendomi sia delle vittorie che delle sconfitte.
La funzione HR ha oscillato negli ultimi 25 anni sulle competenze chiave necessarie per un direttore del personale, talvolta spingendo verso competenze più umanistiche (giurisprudenza-psicologia), talvolta verso formazioni più tecnico-economiche (economia-ingegneria).
La formazione economica, per le esperienze che ho avuto la fortuna di affrontare o l’ardire di ricercare, si è rivelata indispensabile nell’osservare con occhio competente le dinamiche aziendali, nonché essere un interlocutore “di livello” con i Manager delle altre funzioni ed i livelli apicali dell’organizzazione. Saper parlare dei dettagli di un bilancio e dei suoi indici con CFO o responsabili AFC, in molto casi, ha fatto la differenza.
Riavvolgendo il nastro, sono tuttavia approdato alla funzione HR per curiosità, dopo aver frequentato studi principalmente orientati alla micro e macroeconomia, la finanza, la gestione dell’impresa. La curiosità era dettata dalla mia percezione di un’area “grigia” – nella funzione HR - non classificabile all’interno di schemi numerici come il budget, il bilancio, gli indici, la matematica economica e finanziaria.
Questa zona grigia l’ho percepita come un campo in cui poter proporre e sperimentare le proprie idee, il proprio modo di essere e di interpretare la funzione HR; in altre parole, conferire una propria impronta al “cosa faccio e come lo faccio”, in cui l’approccio personale – e quindi il lato anche umanistico – risulta fondamentale per l’efficacia delle attività.
Le nuove generazioni, per coloro che operano in HR (e non solo), devono essere osservate con particolare attenzione. Ed è altrettanto importante verificare continuamente la Società, la sua Cultura e la sua politica del lavoro nelle direzioni che prende ed nei messaggi che lancia.
I giovani ed il loro modo di pensare sono, per alcuni versi, lo specchio della società che ci circonda, comprese le loro esigenze, le frustrazioni e la loro voglia di cambiamento.
Quindi prima di tutto occorre una stretta connessione con il tessuto sociale in contatto con tutte le realtà aziendali, siano esse in Italia che all’estero.
Con questa consapevolezza, possiamo poi procedere allo step di identificare i talenti e le politiche di retention e fidelization da mettere in atto.
Uno degli elementi caratterizzanti per una società che vuole considerarsi attrattiva è certamente la politica in cui viene posta la risorsa al centro, con la finalità di facilitarne (vorrei dire garantirne) il giusto work-life balance. In questo discorso, lo smart-working è divenuto l’elemento base, seguito da politiche o piani di welfare/wellbeing aziendale, su cui voglio menzionare l’esperienza della società in cui oggi opero: da oltre 3 anni proponiamo un percorso di Mindfulness per imparare a curare le relazioni, saper far gruppo e gestire in modo corretto e positivo le emozioni.
Altro elemento importante è la trasparenza aziendale a tutti i livelli, dalle relazioni interpersonali alle comunicazioni normali ed istituzionali. La sensibilità delle persone, ed in particolare delle nuove generazioni, alla trasparenza ed alla chiarezza nella condivisione è molto alta e ne promuove l’avvicinamento e la conquista della fiducia (che poi va ovviamente mantenuta).
In ultimo vorrei menzionare un chiaro piano di sviluppo delle competenze e delle responsabilità.
Affermato ciò, l’azienda non deve rinunciare a richiedere la vicinanza ai propri valori da parte di chi vuole entrare a far parete della squadra, come persona e come professionista. Nei colloqui di selezione conoscere la persona (nei suoi punti di forza e di possibili miglioramenti) è altrettanto importante che il livello di competenze che viene offerto.
Bella domanda; mi verrebbe da risponderti che io vivo il “coaching continuo” come un modo di essere e, come conseguenza, di interpretare il mio ruolo sia da responsabile di risorse del team in HR, sia da Manager nei confronti di altri colleghi Manager.
Il coaching, come tutti sanno, è un processo di sviluppo/ausilio per il miglioramento delle proprie performance e la consapevolezza del proprio potenziale alfine di sfruttarlo al meglio (sintesi non esaustiva ovviamente).
Ma solo il coaching non è sufficiente e, come correttamente viene suggerito nella domanda, è necessario integrare con la conoscenza della cultura locale, la cura della relazione, il rispetto dell’equilibrio dei meccanismi organizzativi, il “dono” gratuito tipico dei rapporti di networking, praticare – quindi essere di esempio - prima della parola.
Questi elementi – insieme o separati - possono concedere la possibilità di aprirsi ad un confronto onesto, sincero e senza giudizio; solo in quel momento, l’utilizzo delle leve del coaching possono avere l’opportunità di trovare un interlocutore in ascolto attivo.
Io lo definisco continuo perché, semplicemente, è ciò che applico in modo costante tutti i giorni in ogni atto, che sia una parola, una e-mail o un gesto.
Intervista a cura del Team di Joinrs